Marco Levi
La vicenda umana di Marco Levi (1910-2001), cui fu affidata dal padre banchiere, a soli diciannove anni e con un semplice diploma di ragioniere, la direzione di una fabbrica con centocinquanta operai, la “Vedova Besio & Figlio” di Mondovì, in Piemonte.
Quell’antico stabilimento era una tessera del mosaico industriale locale legato alla stoviglieria popolare in terraglia tenera, quella che ha il suo simbolo nel galletto decorato a colori vivaci, usando mascherine, spugne intagliate e pennello.
La fabbrica divenne la ragione di vita di quel giovane rigoroso e socievole della borghesia locale, prima impegnato nelle strutture associative del fascismo e poi perseguitato dalle leggi razziali. Nascosto tra il 1943 e il 1945 a cura di una fitta rete cittadina di solidarietà tra i boschi del Monregalese – è questo il nucleo narrativo centrale del libro, evocato attraverso le lettere inedite dei famigliari – riprese in mano la banca paterna e la fabbrica, negli anni difficili del dopoguerra, cercando nei decenni successivi di adeguare in ogni modo la produzione ai nuovi tempi ed alle nuove esigenze del mercato.
Animatore di mille iniziative aggregative, culturali e solidali nella “sua” Mondovì e circondato da stima e rispetto, dedicò gli anni dopo la chiusura della fabbrica alla diffusione della cultura dell’ebraismo che, nella sua presenza comunitaria locale, si estingueva con lui.

